lunedì 20 febbraio 2012


La filosofia degli opposti

                         nel carnevale di Vincenzo Ammirà

Il 3 febbraio 1898 si spense  a Vibo Valentia il poeta Vincenzo Ammirà, considerato tra i maggiori esponenti della letteratura dialettale calabrese.
L'interesse di questo scrittore della piccola borghesia colta calabrese per la cultura popolare fu grande e autentico, sia perché alla metà dell’Ottocento la piccola borghesia dei villaggi e delle piccole città dell’Italia meridionale era ancora profondamente radicata nelle culture delle campagne e del paese, sia perché nelle scuole e nei vari seminari dell’epoca la stessa cultura intellettuale veniva a contatto con quella letteratura popolare di cui coglieva gli aspetti più trasgressivi ed osceni.1

Il suo contributo nella cultura erotica popolare rimanda ad alcuni poemetti pubblicati qualche anno fa: Rivigliade, Ngagghia, Ceceide, nei quali troviamo aspetti “particolari” del carnevale.

L’aspetto “carnevalesco” in esse presente, si costituisce come spazio di divertimento, di realizzazione del piacere. I piaceri del carnevale sono, essenzialmente, piaceri corporei.
Anzitutto il piacere sessuale. Ed è quello che caratterizza la Ceceide, l’opera più famosa dell’autore.

Viene celebrata la figura di una celebre prostituta di un villaggio calabrese, la quale, in punto di morte, decide di fare testamento e di magnificare il suo corpo, il suo lascito, le sue “virtù”, la sua esistenza, da cui non emerge nessun comportamento peccaminoso.2

Cecia, la protagonista, conquisterà un nuovo status, un’altra dignità, solo con la glorificazione delle proprie gesta e il plauso e il rimpianto degli altri, dei vivi. Essa rappresenta  l’ideale di una sessualità senza peccato, che si può leggere dentro tutto il sistema dei simboli e delle immagini del carnevale e che costituisce una delle dimensioni più interessanti della filosofia popolare del sesso.3

Il carnevale presente nelle opere di Ammirà, segue il filone della rappresentazione della realtà capovolta anche nell’iconografia cristiana: il cielo da sempre visto come sede degli angeli, ora è invece coperto da donne nude che intonano canzoni oscene e le due famose prostitute delle sue opere, Cecia e Riviglia, vengono persino rivestite dei simboli del potere e della gloria: la palma e la corona.  La filosofia degli opposti di Ammirà, trova poi il suo acume nell’identificazione dell’etèra con la sua esatta negazione:  la vergine.4

Cecia rappresenta la liberazione, il trionfo della sessualità, l'illecito che diventa naturale. Salita al cielo, la donna ritorna persino pura, come simbolo di questo rovesciamento blasfemo del carnevale. Il realismo grottesco che ritroviamo in questi poemetti tende un po’ a ribaltare quei valori culturali presenti sia nella scena del funerale e dell’ascensione al cielo di Cecia, sia nel lamento funebre di Riviglia.5 

In realtà, l’intento del poeta era quello di abbattere il muro della ipocrisia delle classi egemoni che, facendo riferimento alla morale cristiana, facevano dell'eros un tabù da relegare esclusivamente alle loro camere da letto.

Per questo, lo scrittore, facendosi "garante" del pensiero della società contadina,  descriveva con i suoi poemi il disagio della cultura subalterna riguardo la libertà di esprimere la realtà del sesso e dell’amore, lanciando un messaggio ben preciso: un inno alla gioia di vivere, alla trasgressione e un invito ad abbandonarsi alle sensazioni libidinose senza mai trascendere nel volgare.

RIFERIMENTI:

1. SCAFOGLIO D., Norma e trasgressione nella letteratura popolare, Roma - Reggio Calabria, Gangemi, 1984.
2. GALATI G., Vincenzo Ammirà patriota e poeta calabrese, Firenze, Vallecchi, 1930.
3. SCAFOGLIO D., op.cit.
4.  Ibidem
5.  Ibidem



© 2014 valentinadelorenzo.blogspot.com

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo post può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo cartaceo, elettronico, meccanico o altro senza l'autorizzazione scritta del proprietario dei diritti

Nessun commento:

Posta un commento

 La Varia di Palmi (Rc )      "Li bellizzi su a lu Scigghju, janchi e russi  a la Bagnara, li forzuti sunnu a Parmi chi si &#...