sabato 14 gennaio 2012


La Farchinoria: aspetto folklorico dell'eros popolare calabrese

Il testo di De Giacomo, La farchinoria,  fu scritto nel 1914 per la rivista «Anthropophyteia » fondata da Krauss nel 1904, una raccolta volta a rintracciare la storia evolutiva del genere sessuale. Tuttavia, il saggio non venne mai pubblicato  in quanto la rivista nel frattempo aveva cessato le pubblicazioni in seguito ad un processo subìto alla vigilia della Guerra mondiale. Una copia del manoscritto rimase sepolta nella casa di De Giacomo per quasi sessant’anni e fu edita soltanto molti anni dopo, esattamente nel 1972, dal prof. Raffaele Sirri sotto esplicita richiesta del figlio Paride che fu il primo, assieme al fratello Lamberto, a comprendere l’originalità dell’opera.

Il nome di Farchinoria designa nel testo una pratica sessuale non rara tra pastori e in società primitive. La sua derivazione potrebbe orientarsi sul latino farcino (farcio), nel senso di riempire o saziare, con ovvio riferimento al significato erotico.  Le farchinorie erano delle farse, rappresentazioni teatrali, orge promiscue di uomini e animali, ma anche il momento in cui una comunità di pastori poveri,  “veri mandrilli con l’hasta viri nelle mani”, riversava tutte le sue frustrazioni nell’impeto brutale dello stupro degli animali, i canti sessualmente esaltati e i gesti osceni. La farchinoria, anche se consisteva in un divertimento drammatizzato, per i pastori era addirittura un gioco (nu juocu) che avveniva secondo un calendario rituale ben preciso: dall’Epifania fino a metà Quaresima.

“Fino a quarant’anni addietro, noi, pastorelli allora, eravamo rallegrati (éramu preiati) dal gioco di  «ra farchinoria»” 1.

Il rito si svolgeva in un pagliaio, dove si radunavano i pastori che pascolavano i greggi sul monte. Si mangiava la migliore pecora del gregge e si beveva vino fino all'ultima goccia. Quando i pastori erano pieni e sbronzi, si faceva entrare nel pagliaio un montone e lì iniziava la pratica.

Per analizzare bene il rituale occorre domandarsi in quale considerazione è tenuto l’ambito pastorale nella società in cui si celebra tale rito.
I protagonisti delle Farchinorie erano pastori poveri che vivevano in solitudine  e privati delle loro femmine, dei rapporti e delle relazioni sociali, facevano del loro desiderio un vizio; una “malattia”, dove la  «fame» di donne e  la «sete» sessuale si scatenano, si sfogano sulle povere e ignare pecore, perché compagne più prossime della loro esistenza.2

De Giacomo, in realtà, dava una descrizione più realistica di questo rituale, mettendo in luce i diversi meccanismi della cultura subalterna, rispetto ciò che, invece, molti altri autori  evidenziavano in maniera più "edulcorata", ovvero il sentimento di un uomo verso un animale che va "oltre" i limiti affettivi consentiti.

Balzac, Maupassant, D'annunzio offrono difatti  un vasto repertorio di questa patologia del comportamento,  facendone  una vera e propria  Letteratura zoofila.

De Giacomo racconta con  straordinaria accuratezza la visione di questo rituale a cui aveva assistito in una fredda sera del 6 gennaio 1891 sul Monte Cocuzzo.  Per quanto la veridicità dell’opera sia stata messa spesso in discussione, rimane indubbio il fatto che abbia dato comunque un risvolto interessante e particolare alla ricerca folklorica dell’erotismo.







Riferimenti:

 1.   DE GIACOMO, G., La farchinoria, Eros e magia in Calabria, a cura di R. Sirri, De Simone, Napoli, 1972,  p.21
 2.  SMORTO, P.,  "La farchinoria",  Articolo pubblicato su Tropeamagazine.it  1.

DE LORENZO, V.,   Riflessioni sull’eros popolare in Calabria,  Tesi di Laurea ,  A.A. 2008-2009


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